Invervista a Mauro Corona

Qualche anno fa guardando per caso la televisione ho visto l'intervista di Daria Bignardi ad un tipo strano di nome Mauro Corona, sono stato ad ascoltare sorpreso, ma man mano che l'intervista andava avanti mi sono sorpreso di tante verità, riflessioni e profondità d'animo di una persona che se la vedi per strada gli daresti due lire. Qui si può trovare uno stralcio della sua intervista:

----------------------------------


Mauro Corona è nato nel 1950 a Erto. Da ragazzo
ha lavorato come boscaiolo e ha cominciato ad
intagliare il legno, fino a quando lo scultore
Augusto Murer ha intuito il suo talento e lo ha
accolto nel suo studio di Falcade, dove Mauro
Corona ha approfondito la tecnica e l'arte che gli
hanno permesso di diventare uno scultore ligneo tra
i più apprezzati in Europa. Alpinista e
arrampicatore, ha aperto centinaia di itinerari sulle
Dolomiti d'Oltre Piave. Ha collaborato, insieme
all'Associazione Tina Merlin, alla realizzazione del
film di Renzo Martinelli Vajont, girato negli stessi
luoghi raccontati in tutti i suoi libri seguiti
all'esordio narrativo del 1997 con Il volo della
martora (ora ripubblicato nei Miti Mondadori).
Sono seguiti Di legno e di pietra (Mondadori 2003),
a lungo in testa alla classifica dei libri più venduti,
"Aspro e dolce" Il romanzo di una vita. La festa e la
morte nel fondo di un bicchiere (ed. Mondadori
2004), "Storie del bosco antico" (ed. Mondadori
2005), L'ombra del Bastone (ed. Mondadori 2005),
Vajont: quelli del dopo (Ed.Piccola Bibioteca Oscar
Mondadori 2006)
Sono salito fino a Erto, paese che porta ancora oggi
le ferite della gigantesca e mortifera ondata del
Vajont, per incontrare Mauro Corona. Avevo letto
tutti i suoi libri e mi erano piaciuti molto: mi ero
fidato di Magris, il fine germanista e critico
triestino che, presentando il primo libro dello
scalatore, aveva scritto che “Corona è scrittore
scarno e asciutto, e insieme magico nell'essenzialità
con cui narra storie fiabesche e insieme di brusca,
elementare realtà. I suoi racconti hanno l'autorità
della favola, in cui il meraviglioso si impone con
assoluta semplicità, con l'evidenza del quotidiano.
In loro c'è comunione con la natura, col fluire
nascosto e incessante della vita, e un'infinita,
intrepida solitudine”. Il “personaggio” Corona,
però, mi prendeva meno, forse per via dei capelli
lunghi, della bandana sulla fronte e della canotta,
portata anche d’inverno. Alcune interviste lette
recentemente mi avevano poi fatto pensare che,
oramai, fosse caduto nella trappola del successo (e
che successo! Con l’ultimo testo, pubblicato da
Mondadori, Corona ha venduto più di seicentomila
copie di libri) Persino il suo sito mi infastidiva:
www.dispersoneiboschi.it , con quel tono esagerato,
forzatamente eccentrico. Insomma: mentre mi
arrampicavo con la macchina sopra Longarone,
passando vicino alla Diga, mi chiedevo quanto sarei
riuscito a sopportare un personaggio che sembrava
essersi “costruito” ad arte, che risponde “avanti” al
telefono e, se la giornata non è delle migliori,
complice una notte trascorsa con gli amici in
osteria, è capace di mandarti a quel paese. Avevo
calcolato i tempi tecnici dell’intervista. Qualche
domanda e, se il clima dell’incontro non fosse stato
dei migliori, tanti saluti e arrivederci a chissà
quando. L’incontro, invece, mi ha spiazzato. Non
solo perché è durato un giorno intero ma perché ho
incontrato un uomo migliore anche del suo
“personaggio”: complesso e ruvido ma autentico e
sincero. Non è stato subito così: all’inizio, c’è stata
una certa diffidenza che si è sciolta presto,
diventando, via via, confidenza, quando gli ho
regalato la raccolta di poesie di padre Turoldo (suo
insegnante al Collegio don Bosco di Pordenone).
Mauro ha accettato di mettersi in gioco, con
profonda umanità e schiettezza. Ho scoperto così un
uomo colto, molto colto, appassionato di libri,
profondo conoscitore della letteratura mitteleuropea
e sudamericana, capace di citare a memoria intere
pagine di Walser, Brodskij, Steiner o di Borges.
Abbiamo dialogato a lungo nella sua splendida e
disordinata bottega studio tra grandi statue di legno,
fogli di schizzi e disegni e centinaia di libri. Mauro
era tornato il giorno prima dalla Buchmesse di
Francoforte, dove aveva tenuto una conferenza al
Centro Culturale Italiano.

Non hai paura, qualche volta, del successo imprevisto che ti è cascato addosso?

Cerco di tenerlo lontano il più possibile...

Come fai?

Fuggo a scalare e faccio di tutto per non farmi
trovare. Sto via anche un mese nella mia baita in
mezzo ai boschi. E poi schivo le occasioni che non
trovo intelligenti. Vado a seminare solo quando
serve e per quel poco che mi serve: ho tre figli
all’Università da mantenere. Comunque questa
gloria che mi è capitata addosso non mi convince.
Spesso mi dico che è venuto il momento di lasciare
tutto e di andare da qualche parte a vangare il
campo, a costruire una baracca, perché c’è gente, da
qualche parte, che potrebbe aver bisogno di me…
Sento un debito che vorrei onorare…

Anche scrivere libri può essere un modo per restituire qualcosa…

No! Bisogna dare una mano: quando vedo quei
poveracci che arrivano con un barca e sprofondano
in mare aperto… è gente che ha un’anima! E poi un
Borghezio qualsiasi mi viene a dire “affondate
quelle navi”.. Allora mi sento ribollire dentro, scatta
“l’aquila” che è in me.. Quando penso che quella
gente ha perso figli e parenti, che non sa più dove
sono, mentre, noi, qui a gozzovigliare… Dovremo
renderne conto!

Nell’ultimo libro fa spesso capolino la
fede...

La fede è un grande tema. Io sono un peccatore,
però per tradizione e per convinzione sono convinto
dell’esistenza di Dio… Un giorno sono salito sul
Campanile di Montanaia insieme al mio amico Erri
De Luca. Ad un certo momento Erri mi ha detto:
"Ho visto tracce dell'orso, ma non ho visto l'orso".
Gli ho risposto: "Ma se hai visto tracce c'è anche
l'orso... non può essere la gallina se è la zampa
dell'orso...”. Anch’io ho trovato in giro troppe
tracce per poter dubitare… Inoltre credere mi aiuta
a non coltivare i falsi miti come quello di pensare
che la vita sia solo conquista, roba, soldi, fama, o
che non valga la pena di viverla nel rispetto e
nell’affetto.



Anche se….

Anche se…
Mi piacerebbe che i preti imparassero a stare un po’
di più con la gente. Spesso invece sono lì con il dito
puntato. Sai cosa diceva Brodskij: “Attenzione al
dito inquisitore… Sempre lì…”: bisognerebbe
essere meno sentenziosi e capire di più la fatica
delle persone.

Non ha mai dei periodi di paura.. ?

Paura ce l'ho ogni volta che mi sveglio. Soprattutto
paura della morte: mia e delle persone a cui voglio
bene. E’ la paura che mi spinge ad agire. Questo è il
prezzo che dobbiamo pagare per essere al mondo...
Guardo spesso questa piccola statuina che ho
costruito con il filo di ferro e del nastro isolante
nero e che rappresenta una signora con la falce,
simbolo della morte. E’ come se mi dicesse:
“Guarda arriva. Sta attento e vedi di non fare troppo
il gradasso”. Dalla montagna, dal legno, ho
imparato che per vivere bene dobbiamo imparare a
togliere. Invece noi, al contrario, accumuliamo,
proprio per paura della morte, per esorcizzarla.
Sono stato recentemente a Milano e ho visto una
città caotica, piena di gente che corre e investe. Per
fare che? Investi in tempo libero! Bisogna spegnere
lampadine e non fare centrali
elettriche o atomiche, bisogna
tornare all’essenziale altrimenti
non ce la faremo più. Io ho
deciso di portare a termine
questi ultimi libri e poi smettere
di scrivere.

Non ti reputi uno
scrittore ?

No!

Magris però ha scritto delle cose belle su di te

Ma uno non può reputarsi uno
scrittore. Mi sento, piuttosto,
uno scultore, perché ho
cominciato da bambino a
manovrare legni, a modificare
tronchi, che già sono belli di per
sé. Invece come scrittore, mi
ritrovo in quello che ha detto il
grande Borges: "Vedo me stesso
essenzialmente come lettore. Mi
è accaduto di avventurarmi a
scrivere, ma ritengo che quello
che ho letto sia molto più
importante di quello che ho
scritto". Geneticamente sono uno scultore: lo era il
mio bisnonno, il mio nonno e pure mio padre. In un
tempo in cui tutto è di plastica provo piacere a
lavorare il legno...

Scolpire cosa vuol dire ?

Adesso te lo dico: mi da una gioia…! Guarda, io
uso poco questa parola eppure è quello che provo
ogni volta che lavoro il legno. Quando scolpisco
non mi sento un fallito! Perchè vedo che da un
tronco viene fuori un visetto, una figura e penso che
mi sento vivo, che non son vissuto invano... che non
ho fallito... Ma questo ha significato per me stesso,
non serve per dimostrare che son bravo. Dobbiamo
smetterla di educare bambini convinti di essere
sempre i migliori. Un carpino non può essere un
faggio. Potrà fare cose stupende, ma sarà sempre
diverso dal faggio. Un giovane che mira a vincere
ha già perso tutto, è sulla strada sbagliata, dovrà
sempre fuggire da se stesso. Non a caso, nel mio
ultimo libro, parlo delle scalate ma soprattutto dei
fallimenti. Quelli che, normalmente, un alpinista
non racconta mai.
Insomma, bisogna non avere paura di
essere quello che si è…
Naturale! Lo predico sempre ai ragazzi che incontro
nelle scuole. Siate autentici, naturali. Oggi non
affronto più una situazione con l’obiettivo di
vincere a tutti i costi. Anche quando sono salito su
una montagna difficile o apro una via non scrivo:
“attaccammo la montagna!” ma, piuttosto,
“chiedemmo permesso, se ci lasciava salire”…
Questo vale anche nelle relazioni.

Ma secondo te educare è ancora possibile ?

Si! Bisogna farlo presto: con i bambini piccoli,
tra i tre e i sei anni. Dopo, sono rovinati,
camminano sulla strada scelta… Bisogna
insistere con il perdono. Dire loro che vale più
del rancore. Solo allora un bambino cresce con
la convinzione che si deve e si può perdonare
e... si applica. Invece, gli adulti insegnano a
vendicarsi. Gli stessi genitori dicono ai loro
figli “se subisci uno sgarro, fagliela pagare!”
Altro che bandiere della pace esposte sui
balconi…! Il gatto del vicino attraversa il tuo
orto e tu gli uccidi il gatto... In questo modo si
arriva alla guerra. Le bombe vengono dopo. Se
non partiamo dalle cose piccole, il resto è tutta
demagogia.

Insisti molto sull'idea di "togliere".

Come una scultura nella vita bisogna
togliere... invece noi continuiamo ad
aggiungere...
Se hai, devi difenderti e ti aumentano le ansie...

Tu sei capace di perdonare?

Ho imparato a poco a poco. In un mio libro
racconto di una donna che, quando ero piccolo, mi
vide prendere dalla discarica un paio di scarpe da
bambino che lei aveva gettato. “Sono mie”, mi
gridò e mi obbligò a lasciarle lì. Non l’ho più
perdonata e le ho tolto il saluto. Credo di averla
odiata e ogni qual volta la incontravo provavo un
moto di rabbia e di ribrezzo. Ora è morta e il
pensiero di lei mi rincorre spesso. Avrei potuto
berci un caffè insieme, rivolgerle la parola. Adesso
che è mancata, sento che la prenderei in braccio,
con dolcezza. Ma non l’ho fatto: sono l’uomo dei
treni perduti…

Sei l'uomo dei treni perduti?

Eh sì, ma non quelli delle occasioni di denaro o dei
"Maurizi Costanzi Show": i treni dell'affetto, i treni
delle cose che contano….

Eppure tu sostieni che l’uomo deve “bastare a se stesso”….

La mia filosofia è diversa, non è un atto di egoismo.
Lo ripeto sempre: “Io mi basto” e questo dovrebbe
valere per tutti, perché se uno basta a sé, non vive
dipendenze, da via tutto il resto. La completezza ti
fa aprire, senza risentimento, agli altri. La teoria del
"bastarti" fa si che tu sia invulnerabile, per cui
diventi scanzonato e generoso. Il “bastarsi" è la non
dipendenza da: io ti posso fare otto giorni di sbornie
e otto mesi solo ad acqua...

Spiegami meglio…

Vedi, la vita è sospesa a un filo: dipendiamo dagli
eventi. Ma è chiaro che il verbo dipendere riporta
all'idea di pendere a un filo, e di pendere in quanto
dipendere. Come intuiva il grande Michelstaedter,
noi siamo come un peso che “pende a un gancio, e
per pender soffre che non può scendere: non può
uscire dal gancio, poiché quant'è peso pende e
quanto pende dipende”. Chi cerca la felicità ha già
sbagliato, perché ha bisogno di qualcosa, dipende
da qualcosa.... Uno esiste! E’ chiaro che se mi
muore un figlio, sarò straziato, ma non mi sparo...
In un libro, racconto la storia della Giobba, una
donna di qui che perse nove figli maschi. Ogni volta
lei diceva: “Così vuole Dio”, e ogni mattina, pur
piena di dolore, risorgeva. Il dolore se l'è portato
avanti fino quasi a cent'anni però non è rimasta
annientata. So che non è facile capire questo:
anch'io ho i miei problemi... sono l'uomo più
incoerente del pianeta, eppure ogni giorno devo
trovare la forza per ripartire. Io sono quello che
nasce la mattina.. Pessoa diceva: "Siamo una
moltitudine". E’ la fantasia della vita che ci obbliga
a rispondere, in maniera diversa, al nuovo giorno.

Nei tuoi racconti ci sono tanti tipi
originali. Persone un po’ diverse che
però fanno la ricchezza di un paese, di
una comunità. Oggi viviamo una grande
omologazione….

E’ vero quanto dici. E’ il famoso globalismo che ha
portato con sé l’appiattimento di genti e culture,
anche se non lo si deve combattere spaccando
vetrine altrui. In questi paesi, fino a non molto
tempo fa, c'erano un mucchio di persone originali.
Musicisti: c'era uno che cantava in modo perfetto la
Tosca dalla A alla Z; gente di cultura, che leggeva:
io ho libri del Settecento ereditati da mio nonno.
Oggi invece c'è un appiattimento, anche perché
siamo presi tutti dalla smania di diventare famosi, di
essere pezzi unici! E’ la cattiva cultura della
televisione. Tra “l’uomo che non deve chiedere
mai” e “il tonno che si taglia con un grissino”
abbiamo cresciuto generazioni che non godono di
quanto fanno ma pensano le loro abilità in funzione
di quanto possano rendere. Quando uno scopre che
non può suonare la chitarra come John Lennon
subito smette. Ma suona per te, per il gusto di
imparare.. Certo, per fare questo, ci vuole fatica.
Parola che noi abbiamo bandito dal vocabolario…

In che senso?

La fatica è l’unico modo per imparare a vivere.
Per vivere bene. La fatica è la medicina del
pianeta… Ti rilassa! La fatica è come vangare
la terra con la pala: la terra si sente viva.
Quando vango la terra con fatica, voglio bene
alla terra, e lei lo sente. Fare fatica è voler
bene a ciò che si fa, e dopo la fatica il corpo si
rilascia, dà spazio alla mente, non le impone
nevrosi e impazienze. Il corpo dell'uomo come
quello degli animali va usato, deve bruciare.
Come la terra: va usata…

Nessun commento:

Posta un commento

Qui puoi lasciare un commento oppure dei suggerimenti